
La Villa Medicea di Poggio a Caiano fu voluta da Lorenzo il Magnifico e realizzata su progetto di Giuliano da San Gallo intorno al 1485, su un poggio fra Firenze, Prato e Pistoia.
La struttura architettonica della villa sarà un modello innovativo per tutto il Rinascimento.
Temi antichi e nomi illustri del passato sono i temi ispiratori dell’architettura della villa e delle opere d’arte volute da Lorenzo de’ Medici.
Il fregio in terracotta invetriata, che si trova sulla facciata, è stato attribuito a Bertoldo di Giovanni e Andrea del Sansovino, anche se ancora oggi ci sono molti dubbi sul vero autore.
L’originale si trovava sulla trabeazione sotto al timpano fino al 1967, data in cui si decise di sostituirlo con una copia a scopi conservativi. Dopo un primo restauro, venne posto nel 1992 all’interno della villa, dove ancora oggi si trova.
Sebbene il fregio sia considerato una delle opere più rilevanti della cultura artistica del periodo di Lorenzo il Magnifico, non esistono però documentazioni che ne attestino il significato. La prima interpretazione fu data nel 1929 e da allora ne sono susseguite altre, frutto degli studi dei più eminenti storici dell’arte. E’ sicuramente un’opera che si rivolgeva ai membri del circolo umanistico del Magnifico che erano in grado di comprenderla in tutti i suoi significati.
La lettura comincia da sinistra, dall’unico pannello in cui lo sfondo è di colore verde invece che blu.
Sotto un lungo serpente che si morde la coda, simbolo dell’infinito, si trova, all’interno di una caverna, Madre Natura che genera anime che prendono il volo andando in direzioni opposte. Alcune volano verso un vecchio che dimena dei serpenti, altre verso un giovane con in mano una sfera armillare e un compasso.
Secondo una prima interpretazione, il vecchio rappresenta il Caos primigenio e il giovane simbolizza le immutabili leggi dell’universo. Il pannello quindi mostrerebbe “La nascita del tempo e del destino umano”. Una seconda interpretazione, data da Cristina Acidini, vi leggerebbe invece “L’inizio della vita iniqua e della vita giusta”.
Le anime che escono dal grembo di Madre Natura hanno in pugno il loro destino che le induce ad andare verso un fato iniquo oppure virtuoso, secondo il mito platonico.
La vita iniqua è rappresentata dall’anziano che tiene in pugno dei serpenti, mentre la vita onesta è raffigurata dal giovane con degli strumenti che simboleggiano il raziocinio e l’intelletto.
La narrazione continua sullo sfondo blu con la nascita di Giove, a simboleggiare lo sviluppo del destino dell’Uomo. Giove è il figlio di Saturno e Rea. Secondo il mito, Saturno, temendo di essere spodestato da uno dei suoi figli, come lui aveva fatto con suo padre Urano, alla loro nascita li divora. Rea però salva Giove, sostituendolo con una pietra avvolta in fasce e lo nasconde in una grotta sul monte Ida. Giove è allevato in segreto dalle ninfe e viene allattato dalla capra Amaltea. Quando cresce, torna per affrontare suo padre.
In questo pannello vediamo Saturno che sta per divorare il piccolo Giove. Rea lo salva dando in pasto al terribile padre la pietra avvolta in un panno, mentre Giove prende il latte da Amaltea. I soldati agitano le spade in modo da nascondere, con il loro rumore, i vagiti del piccolo e ingannare Saturno. La scena si chiude con un alveare, da cui si produce il miele che nutre Giove e le cui api erano uno dei simboli personali di Lorenzo il Magnifico.
Seguendo l’interpretazione platonica, Saturno rappresenta l’età arcaica del genere umano, mentre Giove apre l’era della progressione della civiltà.
Nel terzo pannello vediamo Giano Bifronte, colui che apre le porte e che con un volto guarda al futuro mentre con l’altro si rivolge al passato. Marte esce dal tempio e un uomo ammantato, forse un sacerdote, gli apre la porta; sui due lati della scena troviamo degli uomini con scudi e armi in apparente posizione di attesa. Secondo l’interpretazione della storica Janet Cox-Rearick, gli Dei rappresentano il rinnovarsi della natura e del tempo, ovvero L’inizio dell’anno.
Marte si intende come dio collegato alle calende di marzo e quindi dio della primavera (come nei Fasti di Ovidio), mentre Giano è il dio che regola il ciclo del tempo e dell’anno.
Per Cristina Acidini invece è Marte che apre la porta del tempio sorvegliato da Giano, dio del mese di gennaio, da collegare allo stesso Lorenzo, in quanto nato proprio il primo del mese stesso. A questa uscita assistono i rappresentanti di tutti gli eserciti.
Il pannello successivo rappresenta le stagioni e i lavori nei campi, espressione della Pace, in opposizione alla guerra richiamata nella scena precedente.
La primavera è la rinascita, l’estate è il momento della raccolta dei cereali, l’autunno dell’uva e l’inverno il momento più freddo. Tutte insieme rappresentano l’anno, di cui vengono raffigurati i mesi con i lavori tipici di ogni momento dell’agricoltura. In tempo di pace, questi lavori danno prosperità.
L’ultimo pannello ha due interpretazioni discordanti. Secondo Cox-Rearick, esso mostrerebbe “La nascita del giorno”. La donna col capo raggiato è Aurora che prepara i cavalli del Dio Apollo , riferimento a Lorenzo il Magnifico, per attraversare il cielo durante le ore del giorno. Nella scena successiva il carro viene fatto partire per la nuova ora del giorno.
Secondo Acidini si tratterebbe, invece, de “La punizione e il premio delle anime dopo la morte”.
All’inizio della scena vediamo la rappresentazione del sonno che tiene in mano un papavero e della sorella Nemesi accanto alla Morte, seguono poi due carri che si presentano alla porta del cielo sorvegliata da una dea incoronata di raggi.
Il primo è il carro dell’uomo iniquo che viene bloccato dalla Dea, mentre il carro con l’anima dell’uomo virtuoso viene invitato a salire verso il cielo.
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